Metti due giorni a BAROLO

Diario di Bordo

Barolo, 27/28 Febbraio 2017

Si arriva in Terre di Langa e il cielo è una patina azzurra e senza nuvole. E’ tempo di vino, di vigne, di incontri.

Siamo partiti presto, ancora con le fatiche del weekend di lavoro.

Arriviamo verso mezzogiorno e pranziamo in un locale a Barolo, una trattoria elegante.

Mangiamo poco per star leggeri in vista delle degustazioni del pomeriggio. Il programma è più o meno variabile, ma i nomi dei produttori li conosciamo già: Giovanni Canonica, Guido Porro, Beppe Rinaldi, Giacomo Anselma.

Per dirne alcuni. Produttori di Barolo da sempre.

Alcuni, da generazioni.

Il primo è Guido Porro. Restiamo in cantina un paio d’ore, assaggiando, discutendo animatamente, riflettendo su questa o quell’annata. E’ quasi sempre lui a parlare: ed è un bel parlare, che racchiude dentro tutte le caratteristiche dei vini e della gente di Langa.

Poi è il turno di Giacomo Anselma prima e Beppe Rinaldi poi: il primo ha una faccia antica, che esprime nelle rughe e nelle dita nodose il mestiere arcaico a cui si è votato senza compromessi.

Non si parla di biologico né di biodinamico, ma solo di vino buono.

Beppe Rinaldi invece appare all’apparenza scorbutico, ma è solo la “crosta” di qualcos’altro, di qualcosa di più profondo, un sapere lontano che custodisce gelosamente, o condivide solo con chi lo aggrada veramente.

Inizialmente mi intimorisce, ma col passare del tempo si evolve in un uomo gioviale e interessante, eliminando via quel distacco che aveva dimostrato alla prima stretta di mano.

I suoi vini sono una rivelazione. “Il Barbera sa di sangue” dico a Vanny, per esprimere un mio parere da autodidatta profano.

Vanny mi fa un cenno di assenso e mi sorride, condividendo la mia opinione poco accademica, molto di stomaco. Nel frattempo Beppe ci fa vedere le sue botti.

Usciamo dalla cantina ed è il tramonto. Il freddo ha cominciato a picchiare, forse lo sentiamo meno a causa delle “ombre” che ci scaldano il cuore e lo spirito.

La sera ci porta in un posto di cui difficilmente ci dimenticheremo,“La Bottega Ristorante di Cesare Giaccone”, ad Albaretto della Torre.

Cesare ci accoglie assieme a Margherita, la sua compagna, una signora molto bella che serve a tavola con un’eleganza invidiabile, unita ad una convivialità non comune.

L’atmosfera è magica: la sala è vuota (ci siamo solo noi perché Cesare cucina per il gusto di cucinare, ad una certa età ha deciso di farlo per puro piacere), la nostra tavola è imbandita, il cuoco è pronto.

La serata è meravigliosa. La cucina di Cesare è una cucina della memoria e i sapori che regala sono qualcosa che riconduce le persone al nocciolo, all’essenza. Mi viene da dire che si torna bambini e non è licenza poetica, ma verità.

Poi Cesare decide di sedersi un po’ con noi, capisce che siamo del mestiere e inizia a raccontare aneddoti e a discutere animatamente di cibo, vino, amicizie, vita.

Mi commuovo, a guardarlo: sarà il vino che mi fa diventare sentimentale, ma Cesare mi smuove qualcosa dentro. Emana passione da tutti i pori della pelle ed è bello sentirlo raccontare.

La serata è finita. Avrei voluto rimanere in questa piccola sala ancora per molto, ma capisco che le cose che amiamo di più sono soprattutto quelle che volano via con una folata di vento.

Ce ne andiamo a dormire, salutando Cesare, Margherita e la ragazza che li ha aiutati nel servizio.

Il giorno dopo è stato un susseguirsi di esperienze bellissime, ancora : dalla degustazione di alcuni Barolo della cantina “Collina di San Ponzio” fino al pranzo al “Ristorante Belbo Da Bardon”, altra esperienza culinaria ed umana da portare nel cuore.

Pian piano ci siamo incamminati verso casa.

Una leggera pioggia ha accompagnato il ritorno: alcuni di noi dormivano, uno guidava, qualcuno russava animatamente. Ma tutti erano felici.

Felici di queste Langhe, terre dure, difficili, nebbiose, le terre di Pavese e Fenoglio, del Nebbiolo, del Barbera e del Barolo.

Ma anche le terre di persone meravigliose, terre di vino e di cibo buono, di anima e nebbia, di chiacchiere ed incontri.
Terre di uomini che ci hanno accolto come si accolgono dei fratelli, che hanno condiviso con noi un bicchiere, un ricordo, un aneddoto o molto più semplicemente l’amore per il cibo ed il buon vino.

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